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Ricordo e amnesia
Il giorno del Ricordo a Monza
di Franco Isman


Cominciamo dalla fine: il giorno del Ricordo è stato istituito con legge dello Stato nel marzo 2004 “al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale.”
Giusto e doveroso ricordare e quindi commemorare, sbagliata ed anzi strumentale, a parere di chi scrive, l'istituzione di un apposito giorno ad una decina di giorni di distanza dal giorno della Memoria quasi a voler comparare l'incomparabile ed a voler fare di ogni erba un fascio (vedasi Il giorno del ricordo ).Tragico il destino dei morti ammazzati nelle foibe o scomparsi nei lager iugoslavi, in gran parte incolpevoli, e terribile l'essere costretti ad abbandonare le case in cui si è nati e vissuti, destino purtroppo comune a molte altre genti in diverse parti del mondo dopo la tragedia della Seconda guerra mondiale. Giusto e doveroso ricordare quindi, dopo sessant'anni di colpevole silenzio.

E ci si potrebbe fermare qui. Ma quando i poveri esuli vengono strumentalizzate da organizzazioni di estrema destra e addirittura fasciste, quando un corteo con drappelli di skinheads in maglia nera sfila per le vie della città scandendo slogan come: “i co-mu-nisti- non- son- cam-biati- ieri- as-sas-sini- oggi- smemo-rati” come è avvenuto lo scorso anno (vedasi 10 febbraio ) e quest'anno si programma il bis, seppure al chiuso della Sala Maddalena, è necessario ricordare anche qualcos'altro.
E in primo luogo che la tragedia delle foibe e dell'esodo sono la crudele ma diretta conseguenza della guerra scatenata da Mussolini, duce del fascismo che, assieme ai nazisti, nell'aprile 1941 aggredì la Iugoslavia annettendosi addirittura una parte della Slovenia: la nuova provincia di Lubiana (e Aimone di Savoia divenne re di Croazia). Che siano proprio gli eredi e gli epigoni del fascismo, quelli che ancor oggi esaltano il duce e il suo pensiero a farsi portavoce degli esuli è veramente assurdo.

Allora non si può sottacere quello che gli italiani fecero durante i 29 mesi di occupazione della Slovenia nella lotta contro i partigiani di Tito, con la reintroduzione della pena di morte, i tribunali militari, le fucilazioni di civili per rappresaglia, i villaggi sistematicamente bruciati, le armi fornite alle feroci formazioni fasciste: gli ustascia e i cetnici, i campi di concentramento (31) dove si moriva di stenti e di malattie: 1.500 soltanto nell'isola di Arbe (il generale Gastone Gambara scrisse: “individuo malato = individuo che sta tranquillo"). Ma già il generale Mario Robotti aveva lamentato che “si ammazza troppo poco” ed il generale Mario Roatta aveva sentenziato “non dente per dente ma testa per dente”.
13.000 morti ammazzati, 33.000 deportati: nulla da invidiare ai nazisti. E lo stesso Mussolini, a Gorizia il 31 luglio 1942 aveva affermato: “…deve cessare il luogo comune che dipinge gli italiani come sentimentali incapaci di essere duri quando occorre… è cominciato un nuovo ciclo che fa vedere gli italiani come gente disposta a tutto per il bene del paese e il prestigio delle forze armate”.

Ma la tragedia delle foibe ha un'origine ancora più lontana: nel 1920 Mussolini al teatro Ciscutti a Pola aveva affermato: “…Di fronte a una razza come la slava, inferiore e barbara, non si deve seguire la politica che dà lo zuccherino ma quella del bastone…” e le squadracce fasciste, sempre nel 1920 avevano bruciato a Trieste la Casa del Popolo croata e slovena, il “Narodni Dom” (Hotel Balkan per gli italiani) impedendo l'intervento dei pompieri e costringendo quindi il custode e la figlia a lanciarsi dalle finestre (1 morto e 1 ferito).
Poi durante il ventennio fascista una sistematica opera di deslavizzazione nei confronti dei 500.000 sloveni e croati che vivevano a Trieste e in Istria con l'abolizione di tutte le loro associazioni, della stampa, di tutte le scuole slave, 540 in totale con 80.000 studenti. La lingua slava venne proibita nei tribunali e in tutti gli enti pubblici, eliminate le insegne e le targhe delle vie. Perché se è vero che Trieste e le cittadine costiere dell'Istria erano in maggioranza italiane, di lingua e di sentimenti, retaggio della Repubblica di Venezia, tutto l'entroterra era slavo.

Tutto questo non giustifica quanto poi compiuto dagli iugoslavi in Istria fra l'otto settembre, con il disfacimento dell'esercito italiano, e l'intervento dei tedeschi, che si erano annessi tutta la Venezia Giulia istituendo lo “Adriatisches Küstenland” (Litorale Adriatico) sotto il comando di un Gauleiter. Si parla di 400 italiani “infoibati”: certamente i fascisti più o meno colpevoli ma anche poliziotti, carabinieri ed in generale i rappresentanti dello stato italiano, oltre alle immancabili vittime di vendette private.
E men che meno giustifica il comportamento dei partigiani di Tito che il 1° maggio 1945 entrarono in Trieste dove rimasero per 40 giorni; e qui si parla di circa 4.000 “infoibati”, anche se il termine terribile è forse in parte inesatto perché molti semplicemente “sparirono” e non si è mai saputo che fine abbiano fatto: se davvero nelle foibe oppure deportati in Iugoslavia e mai più tornati. Ma qui si era trattato essenzialmente di nazionalismo (Trst je nas – Trieste è nostra scrivevano sui muri) eliminando, oltre agli aguzzini fascisti, tutti quelli che avrebbero potuto opporsi all'annessione di Trieste alla Iugoslavia , numerosi membri non comunisti del CLN fra i primi.

Nessuna giustificazione per le foibe, ma neppure per i precedenti crimini fascisti. Tutto ciò contribuisce forse a spiegare il lungo, vergognoso silenzio sulle foibe e sugli esuli istriani e dalmati. E' vero, c'era stato il “ribaltone” di Tito e l'interesse dei governi occidentali (democristiano in Italia) a conquistarne l'appoggio, ma probabilmente c'era ancor di più l'interesse a non scatenare una caccia ai criminali di guerra, perché se ce n'era certamente fra i “titini” infoibatori ce n'erano ancor più fra i generali italiani che condussero l'occupazione della Slovenia con metodi degni dei nazisti.

La cappella di Teodolinda La cappella di Teodolinda
lo struggente manifesto del comune
e quello "urlato" della destra estrema

E' ora che le celebrazioni del Giorno del ricordo vengano riprese in mano dall'amministrazione comunale, come era stato nei primi anni, e non si lascino monopolizzare dalle organizzazioni estremiste e fasciste che strumentalizzano i profughi mentre sono le ultime ad avere titoli per farlo.
Il “convegno”, che vede la partecipazione soltanto di esponenti delle associazioni dei profughi, è organizzato ufficialmente dalla delegazione di Monza dell'associazione Ades (amici e discendenti degli esuli giuliani, istriani, fiumani e dalmati), ma poi è reclamizzato con un manifesto sottoscritto da un'altra decina di associazioni di profughi e “culturali” di chiara matrice di estrema destra e fascista. Basti vedere gli slogan riportati tipo: “Istria, Fiume, Dalmazia, né Slovenia né Croazia” di cui, a sessant'anni dalla fine della guerra e dei tragici avvenimenti che stiamo ricordando, con una Slovenia entrata a pieno titolo in Europa e nel trattato di Maastricht, non si capisce davvero il significato.

In questo modo sperabilmente si eviteranno anche le contestazioni dei centri sociali e simili che, pur dirette a contrastare le manifestazioni fasciste assumono la sgradevolissima apparenza di una contestazione contro il ricordo tout court.

Franco Isman

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  7 febbraio 2008